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Nel mondo della comunicazione e del marketing, si parla sempre più di ‘brand activism’, un modello di business che vede l’azienda concretamente impegnata nel perseguire cause sociali, politiche o ambientali.

Nel brand activism l’azienda non solo si afferma come protagonista del contesto sociale, come ‘corporate citizen’ insomma ma si propone come ‘cittadino attivo’ e impegnato nel promuovere processi di cambiamento e svolgere un ruolo concreto in iniziative e progetti per favorire il bene comune. Si va quindi oltre la corporate social responsibility (CSR).

Benefici a 360°

La ritrosia di un dirigente o di un titolare davanti alla prospettiva di ‘fare politica’ è comprensibile ma in realtà si tratta solo di declinare i valori dell’azienda in modo proattivo, cercando un impatto concreto e non solo comunicativo.

I benefici di una campagna di brand activism riuscita sono davvero a 360°: il brand diventa più facilmente riconoscibile, può assumere caratteristiche premium e viene immediatamente associato a dei valori precisi non solo dal cliente ma da tutto il suo ecosistema: distributori, fornitori e collaboratori.

Un’azienda con una missione

In questa case history immaginiamo una azienda che produce accessori per lo sport e la vita all’aria aperta. Fra questi una ampia gamma di borracce e thermos. In questo settore la soglia di accesso è bassa e centinaia di aziende concorrono per assicurarsi la presenza nell’assortimento del retailer e per farsi scegliere dal cliente finale.

L’azienda non aveva il prodotto migliore né il budget più ricco, né il brand più noto sul mercato. Però sapeva ragionare ed era aiutata dal fatto di avere sede in un contesto molto attento alla protezione della natura, una provincia costiera caratterizzata da lunghissime spiagge troppo spesso ‘punteggiate’ a fine giornata da migliaia di bottigliette di plastica dimenticate dai turisti. L’elemento centrale della sua strategia divenne proprio la lotta contro lo spreco e la minaccia ecologica costituita da queste bottiglie.

Facendo del vero brand activism, l’azienda, ben consigliata da un partner esperto in questo tipo di marketing, mostrò la sua volontà di devolvere non solo un budget ma la sua ‘anima’ a una causa e cioè la ripulitura delle spiagge dalle bottigliette di plastica e di vetro lasciate ogni estate da milioni di turisti. L’azienda insomma aveva una missione da compiere.

Collaborazione con il mondo delle Associazioni

Per prima cosa l’azienda acquistò e offrì ai Comuni della riviera centinaia di cestini portarifiuti differenziati per vetro e plastica, ovviamente associati al suo logo. Ma questo fu solo il primo passo. L’azienda strinse una collaborazione con una nota Associazione ecologista e mise a sua disposizione un gran numero di borracce da regalare e le proprie risorse umane. In pratica a una parte del suo personale  venne proposto di collaborare con l’Associazione andando a ripulire le spiagge e i prati della provincia nelle ore di lavoro (l’operazione consentì anche un interessante vantaggio fiscale all’azienda).

Anche al di fuori delle ore di lavoro, i dipendenti e i loro familiari furono incoraggiati a partecipare a delle ‘domeniche di ripulitura delle spiagge’ che prevedevano anche l’affissione di cartelli che invitavano i turisti a non gettare per terra bottiglie vuote e promuovevano l’uso di borracce in metallo informando sui vantaggi che queste misure potevano dare.

Caratterizzati da simpatiche ‘divise’ con i colori dell’Associazione e del brand, i volontari ‘distruttori di bottiglie’ divennero una immagine abituale.

La ‘divisa’ così come i sacchi (rigorosamente riutilizzabili) e i guanti per la raccolta dei rifiuti appositamente acquistati dall’azienda vennero messi a disposizione anche di altre Associazioni e gruppi di volontari in altre città.

Una attenta attività di PR e advertising

Queste iniziative vennero affiancate da una attenta attività di PR e ufficio stampa: i giornalisti di tutte le testate su carta e su web vennero invitati a partecipare a queste iniziative: vennero realizzate pagine e canali su tutti i principali social media, arricchite da un flusso costante di immagini e brevi video: montagne di bottiglie di plastica recuperate e schiacciate per avviarle a un impianto che le potesse riciclare, volontari stanchi ma felici, spiagge dapprima sporche e poi ripulite, alternate a immagini inquietanti di fondali marini punteggiati di bottiglie affondate. Sui media chiave, che forse spontaneamente non avrebbero dato spazio all’iniziativa, l’interesse venne ‘incentivato’ con una attenta e cauta pianificazione pubblicitaria.

Il forte legame fra la campagna e la value proposition del prodotto

L’azienda ovunque possibile mise in primo piano l’impegno personale dei propri dipendenti e delle loro famiglie ma l’obiettivo era chiaro: sottolineare come le bottiglie di plastica o vetro ‘usa e getta’ rappresentassero comunque un cattivo utilizzo delle risorse naturali e un rischio ecologico e per la fauna rafforzando così la value proposition del prodotto ‘borraccia’: la sua infinita riutilizzabilità.

Se l’azienda dà il buon esempio

L’azienda aveva capito che l’acquisto di una borraccia richiede al cliente finale una scelta attiva: distinguersi dalla maggioranza delle famiglie che comprano e poi gettano ogni anno decine di milioni di bottiglie di acqua. Una scelta che ha una giustificazione economica, certo, ma anche e soprattutto ecologica.

Con il suo brand activism l’azienda riuscì a dare il ‘buon esempio’ ai potenziali clienti: “Guarda, anche io, come te, ho preso posizione contro lo spreco costituito dalle bottiglie usa e getta”. Così facendo si distinse dalla concorrenza e soprattutto ribadì il plus principale del suo prodotto cioè il risparmio in termini ecologici.

Già nel corso del primo anno il brand si rivelò molto più noto della maggior parte dei concorrenti; i retailer lo inserirono in assortimento nei punti vendita più grandi e il successo nelle vendite consigliò loro di inserirlo come unica referenza anche in quelli più piccoli. Il ritorno in termini commerciali fu decisivo.